Recensione di Ottavio Borghi 2012
Alessandra Sempreboni ,sia con la pittura che con la sua grafica precisa e severa, realizza la sintesi dei tanti fattori che possono influenzare la valenza artistica delle sue opere. Il primo dei quali è rappresentato dalla grande passione che alimenta il desiderio di comunicare visivamente le proprie intuizioni, sempre alla ricerca di inedite ed originali soluzioni operative. Naturalmente, entro l’ambito dei generi figurativi da lei preferiti, pure seguendo la traccia in fatto di regole esecutive e morali tracciate dai Grandi del passato, dal suo “modus operandi“ trapela sempre la presenza di una sensibilità tutta particolare. Sensibilità regolata nella pratica dallo spirito critico mutuato dalla comparazione con le opere altrui e dall’insegnamento di maestri prestigiosi. Nel caso di Alessandra è possibile affermare che lo slancio creativo manifestato già in tenera età, è connaturato con la sua personalità, per cui il suo modo di agire risente sempre di una, talvolta anche irruente, spontaneità. Così che pure riconoscendone l’importanza, mai è condizionata da una mimetica fine a se stessa; benché i suoi trascorsi di illustratrice naturalistica possano far pensare il contrario. La naturale accuratezza esecutiva assume quindi in ogni nuova creazione, il ruolo di indispensabile ed estremamente valido supporto per la caratterizzazione delle immagini. Immagini che già dall’inizio l’autrice imposta seguendo una filosofia artistica tutta propria, finalizzata alla ricerca della tanto ambita autenticità. Una valutazione di ordine psicologico costituisce la base della sua ritrattistica, perché le consente di intuire i principali risvolti caratteriali di ciascun soggetto. In modo che dalle riproduzioni possano trasparire sempre le attitudini e si potrebbe anche dire, la storia dei trascorsi di ciascuna vita: trascorsi che narrano di fatica, di dolore, di tristezza o di rassegnazione, ma anche di gioia, di speranza e di ambizioni. Tutto questo rappresenta il principale vettore di quella intuizione artistica, che sommata alla ormai scontata abilità tecnica, consente all’autrice di imprimere alle sue opere quel senso dinamico che le valorizza molto di più della semplice riproduzione. Il paesaggio, benché rappresenti un genere pittorico a sé stante, nelle creazioni della Sempreboni svolge apparentemente soltanto la funzione di contorno e di sfondo per il ritratto e per la natura morta. Nella realtà la sua forte e sempre appropriata valenza pittorica contribuisce a valorizzare le immagini quasi a scolpirle, generando in tal modo una virtualità prospettica che induce un senso di plastica solidità; che tanto richiama il bassorilievo. Ma com’è visto da Alessandra, il paesaggio oltre che adempiere alla funzione tecnica già citata, assume anche il ruolo di esprimere il sentimento animistico che ella nutre per la terra e per tutto ciò che con essa vive in simbiosi. Infatti il tono generale delle sue opere ispira al fruitore un senso di armonia naturale, fautrice di comprensione, di reciproca tolleranza e di pace. Da non dimenticare le sue nature morte, che rappresentano suggestive composizioni di grande pregio pittorico, per le quali cura personalmente la disposizione dei prodotti naturali da raffigurare, variando in modo estemporaneo la cosiddetta architettura del modello che ne deriva. E’ naturale che in questo genere pittorico non sia possibile prescindere dall’influenza ideale dei grandi Fiamminghi, ne da quella degli altrettanto grandi Autori nostrani che hanno potuto beneficiare della luce mediterranea. L’autrice opera però rendendo ben chiaro il divario concettuale fra gli uni egli altri, non tanto come differenza esecutiva, in quanto molto spesso si è verificata una certa interazione, ma soprattutto per la diversa intensità con la quale essi introdussero il criterio della “Vanitas”. Cioè di quel senso di tristezza, che pure nel tripudio di colori e di gradimento sensuale della più affascinante natura morta, prelude per tutti: uomo, flora e fauna, la ineluttabile e triste fine del ciclo vitale.